giovedì 1 settembre 2011

MASTICAZIONE prolungata. Scienza e tradizione d’accordo: si mangia meno.

Totò e la pastasciutta.2NEVROSI A TAVOLA. Il mangiare veloce e nevrotico di oggi ci spinge a “divorare”, cioè a masticare poco i cibi. Un errore, lo sappiamo tutti, non solo perché rende gli alimenti meno digeribili e potrebbe in individui predisposti causare disturbi gastrici, ma anche perché non soddisfa l’appagamento della piccola “sazietà intra-pasto”, cioè tra una portata e l’altra, e quindi spinge i più impulsivi a introdurre inutilmente più cibo, dunque più carboidrati, più grassi e più calorie, con aggravio per il metabolismo e maggior rischio di sovrappeso e varie malattie, anche gravi.
      SLOW FOOD E FAST FOOD. Pasti lenti e lunghi, allora? La lunga durata del pasto non è di per sé un indicatore di corretta masticazione. Anzi, lo “slow food” serale, nelle lunghe cene all’aperto, in molti paesi mediterranei (Spagna, Grecia, Sud Italia), parlando, bevendo o peggio ancora fumando per ore, vuol dire solo che la gente non ha altri luoghi e motivi per socializzare, non certo che ama masticare. Anzi, chi a tavola parla molto (un altro errore), finisce per ingoiare il cibo, anziché masticarlo. Invece, a tavola bisogna concentrarsi sul cibo, non distrarsi troppo, per non mangiare qualsiasi cosa e senza limiti, finendo così per ingrassare o avere carenze. Senza contare che emozioni, discussioni e spettacoli incidono negativamente non solo sulla masticazione, ma anche sulla fame e la digestione.
      La tavola degli Antichi, a differenza di quello che un’associazione di gastronomi pretende, non era slow food, ma semmai fast food. E non solo perché la stragrande maggioranza della gente di città, non potendosi permettere veri e propri pasti a tavola, mangiucchiava per strada, come ancor oggi accade in Oriente e in Grecia. Ma anche tra i contadini, che prima del tramonto cenavano seduti, c’era sempre poco cibo, e bisognava sbrigarsi prima che venisse il buio, per andare a dormire: olio, candele e petrolio erano un lusso. Il 99% dei nostri progenitori avevano il fast food, e solo i rarissimi privilegiati ricchi (immaginiamo lo 0,1%) lo slow food, che voleva dire anche case di lusso (domus) con triclinio (cfr. La Tavola degli Antichi, nostra elaborazione su dati di J. Carcopino per la Roma di Augusto). E se probabilmente i poveri masticavano meglio e di più, era perché avevano pochissimo da mangiare, e spesso si trattava di una sola zuppa accompagnata da pane nero.
      HORACE FLETCHER, “THE MASTICATOR”. A consigliare di masticare bene sono stati dapprima i medici dell’Antichità, poi quelli ippocratici-naturisti. Tra questi per analogia può essere ascritto l’americano Horace Fletcher (1849-1919), singolare figura di propagandista attivo nel primo Novecento, propugnatore di un metodo per star bene, dimagrire e risparmiare soldi masticando accuratamente il cibo. Dalla masticazione faceva dipendere tutto. Addirittura, teorizzò che ogni boccone dovesse essere masticato ben 32 volte: una per ogni dente! Egli stesso – riferì – era stato in grave sovrappeso, ma era dimagrito con questo sistema.
      LA MODA DEL “FLETCHERISMO”. Agli inizi del Novecento, il “fletcherismo” era ormai diventato un vero e proprio metodo pseudo-salutista di mangiare, fondato sulla masticazione accurata e ripetuta del cibo “fino al suo completo scioglimento” (The Dictionarist), anzi “the practice of chewing food thoroughly and drinking liquids in small sips to aid digestion” (Collins English Dictionary 2003), in quanto anche i liquidi dovevano essere bevuti a piccoli sorsi. I suoi numerosi libri, oggi illeggibili perché noiosi, irti di ridondanti spiegazioni “scientifiche” di vari esperti su saliva, digestione ed escrezione, ma in sostanza semplicistici (uno per tutti: “The A.B-Z of our own Nutrition, F.A.Stokes, New York 1903), dettero origine ad una moda travolgente, una vera e propria fissazione collettiva, come spesso accade negli Stati Uniti. Non riuscì ad essere filantropo perché con questa “campagna” divenne milionario.
E vari medici gli dettero ragione e abbracciarono la sua teoria, tra cui JK Kellogg, che divenne suo grande estimatore e amico.
      IL DOTTORE-INDUSTRIALE. Nell’ospedale Sanitarium a Battle Creek (Michigan), il dottor Kellogg prescriveva un’accurata masticazione, inquadrandola però in una corretta dieta vegetariana (lacto-ovo-vegetariana) basata su vegetali, frutta, legumi, noci e cereali, con pochi latticini, uova e zucchero. Insieme col fratello Will, Kellogg divenne un industriale di successo inventando e mettendo in commercio speciali “fiocchi” di cereali ottenuti da una pastella liquida disseccata e cotta (di frumento, riso, ma soprattutto di mais: i corn flakes). Corn flakes che, però, oggi non sono affatto consigliabili in un’alimentazione naturale, a causa dell’altissimo indice glicemico (115, più dello zucchero), dell’enormità di carboidrati, 92% tra complessi e zuccheri semplici, della scarsità di fibre e dei numerosi integratori aggiunti. Invece sono molto consigliati i semplici e naturali chicchi di cereali pestati: fiocchi di avena, soprattutto, ed anche semplici fiocchi di altri cereali.
      I POVERI BELGI “SALVATI DALLA CARESTIA”. La teoria di Fletcher, insieme ai suoi libri, fece il giro del mondo e in tempi di carestie, epidemie e povertà, parve cadere come la manna dal cielo. Durante la Grande Guerra – scrisse alla sua morte, il 14 gennaio 1919, il New York Times – Fletcher “insegnò a 8 milioni di belgi affamati ad assumere tutto il nutrimento di cui avevano bisogno masticando molto” il poco cibo a disposizione. Ecco perché, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Belgio ebbe incarichi di “economia dell’alimentazione” e fu visto come un mezzo benefattore dell’umanità. In Italia ebbe un certo successo il suo libro dal titolo “L’arte di mangiar poco” (editore Bocca, Milano 1935).
      IL MESSAGGIO CORRETTO, ANCHE PER OGGI. L’aspetto più vero ed efficace del messaggio fletcheriano? Masticare bene o in modo sufficiente il cibo, specialmente quello amidaceo, è una buona norma: aiuta a mangiare un po’ meno, se si è compulsivi e incapaci di regolarsi a tavola, e a evitare disturbi digestivi se si è soggetti. Tra l’altro, in regime di scarsità di cibo, l’accurata e lenta masticazione sopperisce in parte all’insufficiente nutrizione. Perché si profitta al massimo della “sazietà intra-pasto”, e perché, come vedremo più avanti, un cereale in poltiglia (nel piatto o nella bocca) è sempre più assimilabile del cereale in chicchi o in pezzi grossi ingoiato quasi intero. E infatti ha un indice glicemico maggiore e richiede più insulina. Ma abbiamo grande perplessità sull’affermazione che mangiare il medesimo cibo senza masticarlo, cioè in modo affrettato, faccia ingrassare. Anzi, se non si assumono altri cibi in più, cioè a parità di introiti (questo il punto fondamentale), fa dimagrire.
      La masticazione lenta e minuziosa, raccomandazione pedante di nonni naturisti del primo Novecento, è ora riscoperta in ritardo da ricercatori contemporanei, che provano in studi scientifici controllati che masticando molto si mangia di meno. “32 volte ogni boccone”? No, non è questione di numeri. Senza arrivare a maniacali “esattezze” inesistenti in Natura, il masticare bene ogni boccone è senza dubbio una misura igienica naturale da raccomandare, in qualche modo “preventiva”, che ha numerose conseguenze positive, e può perfino aiutare la morfologia del viso e quindi la bellezza, come sanno bene i dentisti.
      Ma per fortuna, sul piano digestivo la Natura è di manica larga, molto più intelligente di certi suoi fanatici sedicenti sostenitori, ed ha previsto per la digestione dei carboidrati – la più complessa – addirittura tre o quattro stadi diversi, di modo che se una prima fase non si verifica (p.es. se uno mastica poco il cibo) interviene una seconda o terza o quarta fase. Vediamo, dunque, per sommi capi, le fasi e i luoghi della digestione, p.es, degli amidi e degli altri carboidrati complessi.
      DIGESTIONE DEGLI AMIDI. La digestione degli amidi per idrolisi (cioè scomposizione per mezzo di acqua di due o più molecole di glucosio legate tra loro) inizia nella bocca, dove grazie alla masticazione il cibo amidaceo è sommariamente ridotto in pezzi più piccoli e inizia ad essere attaccato dalle alfa-amilasi della saliva (ptialina) che lo trasformano in maltosio, isomaltosio e destrine. Ma questa digestione è minima, perché di solito troppo poco tempo il cibo amidaceo resta in bocca (scarsa masticazione). Nello stomaco le alfa-amilasi continuano ad agire sempre meno, a mano a mano che che l’ambiente intorno alla porzione di cibo diventa sempre più acido, dopodiché si inattivano. Però l’acido cloridrico disgrega e attacca comunque l’amido.
      Nell'intestino tenue continua la digestione chimica degli amidi, grazie all'azione del bicarbonato emesso dal pancreas che alcalinizza di nuovo gli amidi diventati acidi nello stomaco, permettendo l’azione degli enzimi del pancreas (alfa-amilasi analogo a quello della saliva) e intestinali. L'amido rimasto si trasforma in maltosio e destrine. Queste subiscono l'azione di enzimi (alfa-glicosidasi, alfa-destrinasi o isomaltasi) presenti nel rivestimento dell'intestino tenue.
      Oltre agli amidi, altri enzimi attaccano i disaccaridi, cioè gli zuccheri dolci complessi: la saccarasi scinde il saccarosio (zucchero da cucina) in glucosio e fruttosio, e con l'enzima maltasi scinde il maltosio, mentre la lattasi digerisce il lattosio, lo zucchero del latte, in glucosio e galattosio. A differenza dello zucchero da cucina, gli zuccheri semplici (glucosio e fruttosio: frutta, miele), sono assorbiti direttamente tali e quali, attraverso la mucosa dell’intestino tenue senza digestione chimica.
      Ecco perché il saccarosio è assorbito più lentamente e non totalmente (ogni trasformazione metabolica ha un “prezzo” energetico: insomma, si perde qualcosa), ed ha un più basso indice glicemico. Il che sembra paradossale, visto tutto il male che si dice dello zucchero e il bene di miele e fruttosio della frutta. Infine, una volta trasformati i carboidrati complessi in glucosio semplice, sono assorbiti come il glucosio dalla mucosa del tenue.
      In realtà la digestione continua anche più in basso. Se abbiamo mangiato di corsa cereali, masticando poco o nulla, oppure pezzi duri come chicchi o addirittura crudi (p.es. i fiocchi) e fibre (cereali integrali, legumi), o comunque rimangono resti indigeriti nonostante il triplice sbarramento chimico, questi sono attaccati biologicamente dai batteri del colon che li digeriscono con produzione di acidi grassi volatili a catena corta (propionico, acetico, butirrico, valerico ecc) che hanno un effetto lassativo e positivo (trofico) per il colon stesso, e che riducono colesterolo, assorbimento degli zuccheri e sintesi dei trigliceridi, con effetti anti-diabetici, anti-colesterolo, dimagranti e perfino anti-cancro.
      IMPORTANTI LE DIMENSIONI DEL CIBO AMIDACEO. Ma numerosi studi dimostrano che nei carboidrati la forma è importante, e cioè che i chicchi interi o spezzettati in modo grossolano hanno un indice glicemico inferiore a quelli sminuzzati più finemente o alle farine, proprio perché assorbiti di meno, o meno rapidamente. Basta fare una ricerca nelle banche dati delle riviste scientifiche con “particle size starch glycemic index” ecc. (v. riferimenti in Nota). Cioè se ingeriamo grano sommariamente spezzato, spaghetti o chicchi interi cotti, in pratica è come se li masticassimo di meno: qualcosa sfugge sempre alla masticazione. Quindi è smentita l’ipotesi di Fletcher che “di per sé” il cibo non ben masticato “dà più calorie” e fa aumentare il peso. Semmai è il contrario! Questo, certamente, potrebbe accadere se nella furia di mangiare velocemente, essendo ridotta la sazietà intra-pasto, un soggetto compulsivo mangiasse anche altri cibi. Ma la digeribilità dei cibi mal masticati (almeno per gli amidi e le fibre), considerati da soli, è minore, non maggiore dei cibi ben masticati. Se dunque. per ipotesi e senza considerare altri eventuali fattori (p.es. gli ormoni del tubo digerente), un soggetto sovrappeso si limitasse alla quantità di cibo corretta, il fatto di non masticarla bene, avrebbe semmai effetti dimagranti e salutari, piuttosto che ingrassanti e dannosi. Insomma, se è plausibile che masticare molto fa mangiare di meno e quindi dimagrire, non è vero l’opposto, che cioè masticare poco faccia mangiare di più e quindi ingrassare.
      LO STUDIO CINESE. Tuttavia, uno studio condotto su un gruppo di individui sia magri sia obesi dall'equipe di Jie Li della School of Public Health presso l'università Harbin in Cina, aggiunge elementi a quelli finora noti. "E' possibile che la masticazione abbia un ruolo nella regolazione degli ormoni intestinali, che conseguentemente influenzi la quantità di cibo ingerita durante i pasti", ipotizzano alcuni scienziati cinesi nel loro articolo pubblicato a luglio sulla rivista American Journal of Clinical Nutrition (v. più sotto, il riassunto).
      I ricercatori hanno studiato dei volontari mentre consumavano un tipico piatto cinese. Intanto si è visto che gli obesi tendono a mangiare più velocemente e a masticare meno. I volontari hanno ripetuto la prova più volte in vari giorni: in uno hanno dovuto masticare 15 volte ogni boccone, in un altro 40 volte. Ne è risultato che tutti, grassi e magri, masticando 40 volte, ingeriscono il 12% in meno di calorie in media per pasto rispetto a quando masticano 15 volte a boccone; infine che la concentrazione dell'ormone dell'appetito, la grelina, è minore a fine pasto, mentre quello che stimola la sazietà, la colecistochinina, è maggiore rispetto a quando i volontari masticavano solo 15 volte a boccone. E' plausibile quindi che la masticazione influenzi il profilo degli ormoni intestinali a favore del senso di sazietà.
      Ed ecco le conclusioni, tradotte. “Riguardo al primo livello dell’ingestione di cibo – è sintetizzato nell’abstract – finora non sono stati ampiamente valutati gli effetti della masticazione sull’assunzione di energia e sugli ormoni intestinali, sia nei soggetti obesi che magri. Il presente studio ha l'obiettivo di confrontare le differenze nelle attività di masticazione tra i soggetti obesi e magri, e di esaminare gli effetti della masticazione sull’apporto energetico e sulle concentrazioni di ormone nell'intestino nei soggetti sia obesi che magri. 16 giovani uomini magri e 14 obesi hanno partecipato alla ricerca in corso. Nello studio 1, abbiamo valutato se i fattori di masticazione di soggetti obesi erano diversi da quelli dei soggetti magri. Nello studio 2, abbiamo esplorato gli effetti della masticazione sull’apporto energetico. Un pasto di prova consistente di 2200 kJ (68% di energia sotto forma di carboidrati, 21% di energia sotto forma di grasso, e l'11% di energia sotto forma di proteine) è stato poi consumato in 2 sessioni diverse (15 e 40 masticazioni per boccone di 10-g di cibo) da ciascun soggetto, per valutare gli effetti della masticazione sulle concentrazioni plasmatiche di ormone intestinale.
      L’IPOTESI DEGLI ORMONI. “Rispetto ai partecipanti magri, gli obesi avevano un tasso di ingestione più elevato e un minor numero di masticazioni per 1 g di alimento. Tuttavia, i partecipanti obesi avevano una dimensione di boccone simile a quella dei soggetti magri. Indipendentemente dallo stato, i soggetti dopo 40 masticazioni ingerivano il 11,9% in meno che dopo 15 masticazioni. Rispetto alle 15 masticazioni, le 40 masticazioni portavano ad una minore assunzione di energia e ad una minore concentrazione di grelina (l’ormone della fame) postprandiale, a più alte concentrazioni di peptide glucagone-simile-1postprandiale, e a più alte concentrazioni di colecistochinina (l’ormone della sazietà), sia nei soggetti magri e obesi. In conclusione, gli interventi volti a migliorare l'attività della masticazione potrebbero diventare un utile strumento per combattere l'obesità”.
      MASTICARE I CIBI ALMENO 35 VOLTE PRIMA DI INGOIARLI. Dietologi e gastroenterologi di oggi vedono con favore questo ritorno alle antiche abitudini del mondo contadino e povero, che volevano che il cibo fosse masticato più volte prima di essere consumato. Nonostante che sia una verità vecchia quanto il Mondo e conosciuta perfino dai meno colti, fa sempre piacere vederla dimostrata ancora una volta da qualche studioso. Il ricercatore Xand van Tulleken dell’Università di Oxford, autore di numerosi studi, ha provato che coloro che masticano circa 35 volte ogni boccone, mangiano fino al 30 per cento in meno rispetto a coloro che impiegano la metà del tempo. E questo appare a tutti fin troppo intuitivo, perché legato al più lungo tempo impiegato e all’effetto sazietà che insorge nel frattempo. All’esperimento di van Tulleken sono state convocate 20 donne, che si sono trovate di fronte a un abbondante piatto di pastasciutta. Alla fine del pasto i ricercatori hanno misurato ciò che era rimasto nei piatti delle partecipanti e hanno visto che la donna che aveva masticato di più aveva iniziato a sentirsi sazia dopo aver assunto una media di 342 kcal; mentre chi aveva masticato di meno aveva assunto ben 468 kcal in media. Il coordinatore della ricerca van Tulleken ha così commentato: «E’ nostra convinzione che masticare possa contribuire a favorire in anticipo il rilascio di ormoni legati all’appetito e alla sazietà».
      Insomma, altro che diete di fantasia e restrizioni dolorose o pericolose sul piano nutrizionale: basta mangiare più lentamente e senza affanno, masticando molte volte. «Abbiamo dimostrato – conclude – che masticare è uno strumento dietetico sicuro, gratuito e collaudato, che non ha assolutamente alcune effetto collaterale.

RIFERIMENTI

IMPROVEMENT IN CHEWING ACTIVITY REDUCES ENERGY INTAKE IN ONE MEAL AND MODULATES PLASMA GUT HORMONE CONCENTRATIONS IN OBESE AND LEAN YOUNG CHINESE MEN. Jie Li, Na Zhang, Lizhen Hu, Ze Li, Rui Li, Cong Li, and Shuran Wang.
Background: As the first step in ingesting food, the effects of mastication on energy intake and gut hormones in both obese and lean subjects have not been extensively evaluated.
Objective: The current study aimed to compare the differences in chewing activities between obese and lean subjects and to examine the effects of chewing on energy intake and gut hormone concentrations in both obese and lean subjects.
Design: Sixteen lean and 14 obese young men participated in the current research. In study 1, we investigated whether the chewing factors of obese subjects were different from those of lean subjects. In study 2, we explored the effects of chewing on energy intake. A test meal consisting of 2200 kJ (68% of energy as carbohydrate, 21% of energy as fat, and 11% of energy as protein) was then consumed on 2 different sessions (15 chews and 40 chews per bite of a 10-g food) by each subject to assess the effects of chewing on plasma gut hormone concentrations.
Results: Compared with lean participants, obese participants had a higher ingestion rate and a lower number of chews per 1 g of food. However, obese participants had a bite size similar to that of lean subjects. Regardless of status, the subjects ingested 11.9% less after 40 chews than after 15 chews. Compared with 15 chews, 40 chews resulted in a lower energy intake and postprandial ghrelin concentration and higher postprandial glucagon-like peptide 1 and cholecystokinin concentrations in both lean and obese subjects.
Conclusion: Interventions aimed at improving chewing activity could become a useful tool for combating obesity.

ALTRI STUDI. Molti altri studi hanno provato che quanto più piccole sono le dimensioni delle particelle di amidi, tanto maggiore è la quantità di glucosio assimilato e in conseguenza tanto più abbondante ed immediata la secrezione di insulina. Ne riportiamo solo tre:
1. Jenkins DJ,Wolever TM, Taylor RH, et al. Glycemic index of foods: a physiological basis for carbohydrate exchange. Am J Clin Nutr 1981;34:362–6.
2. Particle size of wheat, maize, and oat test meals: effects on plasma glucose and insulin responses and on the rate of starch digestion in vitro. KW Heaton et al., Am J Clin Nutr l988;47:675-82.
3. Wholemeal versus wholegrain breads: proportion of whole or cracked grain and the glycaemic response. D. J. Jenkins et al, BMJ 1988; vol.297: 6654.

AGGIORNATO il 4 giugno 2018

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